Hermann Buhl: un pilastro della storia dell'alpinismo

Hermann Buhl - foto by alpinismonline.comHerman Buhl è considerato da molti studiosi uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi: dotato di grande forza fisica ma soprattutto di coraggio, è riuscito nella sua ahimè breve carriera a sconfiggere alcuni tabù come la famigerata parete del Nanga Parbat. E' considerato uno dei pionieri dell'alpinismo estremo, molte delle sue imprese sono considerate estreme ancora oggi, figuratevi negli '40 e '50.

 

Herman Buhl nasce nella bella cittadina di Innsbruck (in Austria) il 21 settembre 1924. Figlio di una famiglia povera, Buhl passò la gioventù arrampicando sulle pareti del Tirolo e delle Dolomiti accontentandosi di attrezzature di fortuna e prevalentemente in solitaria; nonostante ciò, fin da giovane si abituò alle grandi imprese, quali la celebre via Soldà sulla Marmolada (1950) e le Aiguilles de Chamonix (una delle grandi vie alpinistiche dell'epoca).

 

Tra le imprese di Herman che hanno dell'incredibile vogliamo ricordare la ripetizione della Via Cassin sul Pizzo Badile (anno 1952), effettuata in 4 ore ! (la tempistica media dell'epoca erano 3-4 giorni), il povero Buhl non potendosi permettere qualche giorno da dedicare alla sua impresa e la totale assenza di mezzi, aveva raggiunto la parete in bicicletta partendo da Innsbruck, lontana 240 km; chiudendo quindi questa pazzesca impresa in un fine settimana, visto che il giorno seguente doveva andare a lavorare. Sempre nel 1952 effettuò col compagno Sepp Jöchler l'ottava ascensione alla parete nord dell'Eiger, altra mitica e temuta parete.

Si appassionò subito all’alpinismo invernale, che ben presto lo spinse fin dall’altra parte del mondo ad affrontare i giganti della terra. Nel 1953 partecipò alla spedizione austro-germanica al Nanga Parbat (8.125 mt), effettuandone la prima ascesa assoluta, senza ossigeno e nella parte terminale (a partire dall'ultimo campo completamente da solo). Questa impresa ha dell'incredibile ed è passata nei libri di storia, Buhl infatti riuscì a coprire in solitaria un lunghissimo tratto ( sia dal punto di vista del dislivello che della lunghezza), in 40 ore ininterrotte Herman fu colto dal buio durante la discesa, obbligato ad un bivacco di fortuna a 8000 metri ( appoggiato alla parete e privo di sacco da bivacco) riuscì a sopravvivere ritornando con le sue forze al campo e riportando gravi congelamenti ai piedi, in seguito ai quali gli furono amputate due dita del piede destro

Quattro anni più tardi, nel 1957, torna sugli ottomila, sempre senza ossigeno, questa volta in compagnia di Kurt Diemberger, raggiungendo la vetta del Broad Peak. Diventa così il primo salitore al mondo di due ottomila. Ogni impresa di Buhl è destinata a restare nella storia, durante l'impresa del Broad Peak Buhl per via di problemi logistici rimase senza appoggio di portatori e di materiali. Naturalmente non si diede per vinto ed effettuò la salita come se si trattasse di una parete delle Alpi, partì quindi con un carico leggero e senza portatori. Egli stesso definì questo stile in “stile delle Alpi Occidentali”, da qui nacque il termine “Stile Alpino” utilizzato ancora oggi.

 

Nel 1957 avvenne purtroppo la tragedia, stava raggiungendo la vetta del Chogolisa (7.645 mt) con Diemberger, quando a causa del crollo di una cornice nevosa perse la vita.

Nel seguito, gli altri compagni di spedizione, Marcus Schmuck e Fritz Wintersteller, accusarono Diemberger di essere stato la causa della morte di Buhl, accusa che Diemberger ha sempre respinto.

Il corpo di Herman Buhl non fu mai ritrovato.

 

La storia e le imprese di Herman Buhl sono diventate famose in tutto il mondo grazie alla sua autobiografia, che nella versione italiana è intitolata “E’ buio sul ghiacciaio”.