Il disastro del Vajont

Diga del Vajont

 

Una delle più grandi tragedie della storia italiana, sia ambientali che umane, è ormai da decenni collegata a questa vallata al confine tra Veneto e Friuli; sebbene al giorno d'oggi la memoria è spesso offuscata da altro oppure semplicemente gli eventi dopo così tanto tempo sono stati depositati nel dimenticatoio.

Però basta fare un giro in quelle zone, percorrere i tornanti che da Longarone risalgono verso Erto e la Valcellina per farsi venire i brividi e rimanere ogni volta scioccati.


Era il 9 ottobre del 1963, una serata come tante altre, con buona parte della popolazione di Longarone riunita nei bar per assistere alla partita di Coppa dei Campioni.

Per descrivere la frana scivolata dalla parete del Monte Toc fin dentro l'invaso artificiale del Vajont bastano poche cifre: 270 milioni di metri cubi di terra e sassi, 2 chilometri quadrati di superficie franosa, per un fronte di circa 2000 metri alla velocità di 108 km/h.

Tutto questo materiale in brevissimo tempo precipita nel lago creato dalla diga del Vajont provocando lo spostamento di 50 milioni di metri cubi d'acqua.

L'onda, risalì in parte il versante opposto arrivando a lambire il paese di Casso, posto a 930m di altitudine, mentre in gran parte (circa 30 milioni di metri cubi) riuscì a scavalcare la diga (che non venne distrutta resistendo ad una forza enorme) e si riversò nella Valle del Piave distruggendo completamente la cittadina di Longarone.

La distruzioni fu pressochè totale: 361 abitazioni su 370 andarono distrutte, per un totale impressionante di oltre 1917 vittime nel giro di pochi secondi (1450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni).

La cittadina di Longarone, insieme alle sue frazioni, fu rasa al suolo, la ferrovia e la statale Alemagna furono distrutte per molti chilometri, l'onda di piena nel Piave si trascinò a valle fino a oltre Belluno.

Monte Toc 

Dopo la seconda Guerra Mondiale, allo scopo di investire su nuove forme di produzione di energia, vengono presentati i progetti per la costruzione della diga del Vajont.

I getti di calcestruzzo di quella che diventerà la diga più alta al mondo iniziano nel 1958 e terminarono nel 1960 ad opera della SADE ( Società Adriatica Di Elettricità)

La zona però era fortemente segnata da una serie di frane provenienti dal Monte Toc; durante il primo riempimento del serbatoio (per effettuare dei collaudi sull'impianto) si verificò una frana, i tecnici allora decisero di costruire uno svaso per contenere l'altezza dell'acqua (dai 600 ai 650 m s.l.m.)

Successivamente una seconda prova di riempimento portò l'acqua sopra i 700 m s.l.m. E i movimenti della frana ripresero il loro corso (circa 2cm al giorno), per questo motivo venne costruito un secondo invaso che venne ultimato a marzo del 1963.

L'idea era principalmente quella di controllare la caduta della frana nell'invaso in maniera graduale e controllata, in modo che non costituisse più pericolo.

Alla fine dell'estate del 1963, dopo alcuni mesi di abbondanti piogge e precipitazioni, i capisaldi rilevarono movimenti preoccupanti della montagna; l'altezza dell'invaso venne diminuita per ragioni di sicurezza ma tutto questo non bastò, il 9 ottobre dal Monte Toc (che in Friulano significa marcio...) si staccò una frana lunga ben 2 km che provocò il disastro.

Nonostante questa ecatombe, paradossalmente, la diga del Vajont rimase perfettamente intatta, pur avendo subito forze 20 volte superiori a quelle per cui era stato progettato.

 

La mattina dopo la tragedia si attivò la macchina dei soccorsi, da tutto il Friuli e Veneto vennero inviati sul luogo: Esercito Italiano, Alpini, Vigili del Fuoco; assieme anche al comando delle Esercito USA di Aviano e Vicenza, resosi utile soprattutto con l'utilizzo di elicotteri per sfollare i villaggi isolati di Erto e Casso.

 

Anche la conformazione fisica del territorio fu totalmente sconvolta dal disastro: se infatti oggi ci affacciamo dalla parete della diga in direzione della Valcellina, ci sembra quasi impossibile immaginare che in quel luogo una volta sorgesse un lago. Le migliaia di tonnellate di detriti franati dal Monte Toc hanno infatti quasi del tutto riempito il vecchio invaso, creando nuove colline e deviando drasticamente il corso del torrente Vajont.

 

Nel 1971 a 8 anni di distanza dalla tragedia, venne costruito il comune di Vajont, presso Maniago, per permettere agli sfollati ancora senza casa di tornare alla normalità.

Un altro centro, chiamato Nuova Erto, venne costruito a Ponte nelle Alpi (provincia di Belluno), di cui costituisce un quartiere. Infine sopra il vecchio abitato originale di Erto venne costruito il paese di Erto attuale

 

Oggi il Vajont è una meta di pellegrinaggio per coloro, purtroppo pochi, che vogliono
mantenere viva la memoria.

Risalendo la strada che parte da Longarona, oggi totalmente ricostruita, si raggiunge rapidamente la sommità della diga, dove è stata costruita una cappella a ricordo delle vittime; è possibile effettuare anche una visita guidata alle zone del disastro, camminando anche lungo il coronamento della diga.